INTERVISTE FUORI DAL COMUNE: Anna Maria Ambrosini Massari, Storica dell’arte e curatrice

Pubblicato in Interviste, News

10 Mag 25 INTERVISTE FUORI DAL COMUNE: Anna Maria Ambrosini Massari, Storica dell’arte e curatrice

Prof.ssa Ambrosini Massari, da maggio il Palazzo Ducale di Urbino ospita la mostra omaggio “Simone Cantarini. Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma”. Lei ne è la curatrice. Può presentarci l’importanza di questo artista nel panorama della storia dell’arte marchigiana e non solo?

Ho il piacere di essere curatrice della mostra insieme a Luigi Gallo, direttore della Galleria Nazionale delle Marche in Palazzo Ducale, promotrice dell’iniziativa, e Yuri Primarosa delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma. Questa mostra nasce proprio con una convenzione con Palazzo Barberini, da cui arrivano diversi prestiti. Il tema Barberini, infatti, è uno dei contenuti rilevanti della mostra, ossia quel momento in cui nel 1631 finisce il Ducato dei Della Rovere, con l’ultimo duca Francesco Maria II grande protettore di Federico Barocci, e Urbino diventa una legazione della Chiesa e comincia la nuova storia di gran parte delle Marche. Il primo legato papale sarà proprio il cardinale Antonio Barberini. Perché questo è importante? Forse è la prima volta che un momento di passaggio si riflette anche attraverso un artista: Simone Cantarini realizza nel 1631-33 proprio un ritratto del cardinale Barberini appena arrivato a Urbino, di cui ci sono più versioni tutte esposte in mostra. È un ritratto molto particolare, perché fa vedere questo giovane cardinale, poco più che ventenne, accostato in mostra all’autoritratto dello stesso pittore Cantarini. Già molto tempo fa avevo intitolato un mio saggio “Un giovane pittore per un giovane cardinale”. È davvero emozionante vederli vicini.

Simone Cantarini è appunto un artista che rappresenta un momento di profondo cambiamento: nasce nel 1612, tra l’altro l’anno in cui muore l’artista Federico Barocci e sembra quasi che gli passi il testimone. Vive la sua adolescenza e l’inizio del mestiere tra la fine della grande tradizione rinascimentale del Ducato e l’inizio di questa nuova realtà forse complessa ma con una nuova sensibilità più moderna, che lo stesso Cantarini ci comunica attraverso le sue opere. È un artista di grande rilevanza per la sua attenzione e il suo profondo collegamento alle nuove correnti che nel Seicento si diffondono, non solo quella del classicismo di Guido Reni, di cui sarà allievo a Bologna, ma anche le novità che vengono dal fronte caravaggesco.

Quali tematiche affronta l’esposizione a Palazzo Ducale? E quante opere si potranno ammirare?

Fin dal titolo “un giovane maestro fra Pesaro, Bologna e Roma” abbiamo voluto dare l’idea di un pittore che, pur giovane, si è relazionato con le grandi città e le correnti artistiche del momento. Cantarini muore giovanissimo a 36 anni, come avvenne per altri grandi maestri quali Raffaello, Parmigianino, poco più Caravaggio. Ma riesce ad intercettare le novità di quel momento storico, su vari fronti, e rappresenta un ponte con la modernità, perché era una figura estremamente inquieta, sempre con una vita sentimentale molto ricca, molto sofferta. Scrive anche delle poesie proprio di amore disperato. È un artista di grande ambizione che vuole rispondere al proprio tempo e vuole essere un grande, anche più del suo maestro Guido Reni. Insomma è un artista pieno anche di contraddizioni, quindi vicino a un’idea più moderna della sensibilità.

In mostra sono esposti 56 dipinti di Cantarini, provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane ed europee, tra cui rilevante è il prestito dal Museo del Prado. Il progetto di mostra è stato diviso in alcune sezioni, che esplorano diversi nuclei tematici dal ritratto ai temi profani fino al rapporto con gli altri maestri del suo tempo. Abbiamo quindi la sezione degli antefatti rovereschi e del rapporto con Bologna, la sezione che abbiamo voluto titolare “Elegie sacre” perché la pittura sacra per Cantarini è appunto poesia di grande forza (in questo è veramente un erede di Federico Barocci), c’è poi una sezione molto particolare intitolata “Santi, umanisti e filosofi oltre Caravaggio e Reni” che mette in evidenza un’idea nuova di rappresentazione delle figure dei santi con un eroismo e una forma di individualismo differente. Poi entriamo nelle modalità di lavoro dell’artista, con opere finite e non finite, opere realizzate in più versioni con diverse connotazioni sentimentali, pertanto alcune più chiare e altre più scure, ma dello stesso soggetto. Si vede chiaro l’inseguimento di una perfezione, tanto che in quasi tutte le sue opere affiorano dei pentimenti ed è sicuramente segno della sua profonda inquietudine. Ma nel Seicento c’è anche un collezionismo molto vivace che si diffonde e Cantarini sa prestare particolare attenzione al mercato dell’arte, rispondendo alle richieste con la replica di alcune immagini della Sacra Famiglia e di altri soggetti, anche solo con piccole variazioni legate al gusto del collezionista. Infine in mostra c’è la sua sezione di pittura profana con un’idea nuova, e molto leggiadra, di bellezza che riscontriamo soprattutto nei suoi ultimi anni durante i quali vive e lavora a Bologna in un atelier di straordinario successo e da cui nascono figure che guardano già al Settecento.

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Quale opera della mostra reputa che sia di particolare risalto?

In realtà ce ne sarebbero tante, perché Simone Cantarini è davvero il pittore della mia vita avendo trattato il suo studio fin dal mio dottorato, nei primi anni Novanta. Certamente però consiglio di soffermarsi sul suo autoritratto, in cui si raffigura non con il pennello, ma con il taccuino e la matita, quindi come disegnatore. Lo reputo molto affascinante: osservandolo si percepisce tutta la sua inquietudine, l’ambizione, la giovinezza così fragrante, l’aspetto intellettuale e l’idea della creazione. Ci sono comunque molte novità, tra cui un bellissimo “Ercole e Jole”, di certo una delle attrazioni di questa mostra.

Simone Cantarini. Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma

Di recente la Galleria Nazionale delle Marche ha arricchito la sua collezione proprio con opere del Cantarini. Di quali dipinti si tratta?

Bisogna dare merito al direttore Luigi Gallo, il quale si sta impegnando in una fattiva attività in ogni campo, anche per l’arricchimento delle collezioni, anche con occasioni particolarissime come questa. Già sono state depositate alla Galleria Nazionale delle Marche le tele che facevano parte della collezione della Cassa di Risparmio di Pesaro, dove ci sono molti dipinti importanti, tra cui dei bellissimi Cantarini che vedrete anche in mostra e adesso anche dal fondo pittorico di Banca Intesa San Paolo, che prosegue la sua illuminata idea di valorizzazione delle opere nei rispettivi territori. In particolare si tratta di due Sacre Famiglie, la Sibilla che legge, l’Erminia tra i pastori e l’intenso Ritratto di Eleonora Albani, capolavoro della ritrattistica europea del Seicento. La Galleria Nazionale delle Marche ha quindi oggi una sezione dedicata a Simone Cantarini con circa 10-12 dipinti, che diventa veramente da grande museo internazionale, permettendo di approfondire e scoprire questo artista, oltre la mostra.

Non va dimenticato certamente il rapporto anche con le opere conservate ai Musei di Pesaro, essendo Simone Cantarini originario di questa città: non per altro era detto “il Pesarese” quando stava a Bologna. Ho avuto l’opportunità di contribuire alla grande mostra monografica che Pesaro gli ha già dedicato nel 1997, determinante per gli studi e per le opere esposte, anche i disegni; poi nel 2012 ho curato la mostra organizzata per i 400 anni della nascita e anche a Fano.

La mostra dedicata a Simone Cantarini fa appunto seguito a quella dello scorso anno su Federico Barocci sempre a Palazzo Ducale. Che ruolo hanno avuto questi artisti per la crescita artistica e culturale delle Marche?

Federico Barocci è uno dei grandi della storia dell’arte italiana. Quella ad Urbino, curata con Luigi Gallo, è stata una mostra monografica molto apprezzata da pubblico e critica e di questo siamo stati veramente contenti sotto tutti i punti di vista, non solo per l’artista, ma perchè Urbino è tornata proprio in un focus più internazionale come luogo dove andare per vedere mostre e per conoscere i maestri dell’arte. A Palazzo Ducale si sta portando avanti un lavoro che sa abbinare la conservazione, la conoscenza e la valorizzazione, grazie all’ottimo progetto del direttore Luigi Gallo. E ad Urbino si sta facendo. La Galleria Nazionale delle Marche è sempre una bella situazione con cui lavorare: c’è una squadra straordinaria che ringrazio ancora per l’impegno profuso e per l’ottima collaborazione anche nella mostra di Cantarini. Le mostre non devono essere dei fiori lanciati nel deserto, ma devono diventare un circuito virtuoso. E infatti la ricerca si lega a quella impostata dall’Università di Urbino, dove dirigo un Centro di ricerca InArtS, con il quale ho avviato un progetto di digitalizzazione di fonti e documenti su Federico Barocci che sta dando grandi risultati.

Intervista a cura di Sara Stangoni


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