16 Set 25 Turismo sostenibile: un progetto comune per residenti e operatori
A breve inizia l’ennesima stagione elettorale in diverse Regioni italiane. Come sempre, il turismo è uno degli argomenti che finiscono al centro dei dibattiti tra i candidati. E in questo confronto noto spesso una contrapposizione che, a ben vedere, è più apparente che reale: da una parte chi parla soprattutto agli operatori del settore, magari quando si trova di fronte alle associazioni di categoria, e dall’altra chi sceglie di rivolgersi ai residenti, cavalcando i temi legati alla vivibilità e alla qualità della vita. Due facce che sembrano opposte, ma che in realtà non dovrebbero mai essere messe in conflitto.
Il turismo, quando è sostenibile, porta valore ad entrambi i lati della stessa medaglia. È l’eccesso, il famoso overtourism, di cui abbiamo già discusso, a generare malessere e tensioni nei residenti. Troppa pressione su quartieri fragili, strade congestionate, prezzi fuori controllo: non è un caso se in alcune città europee si è arrivati a vere e proprie manifestazioni contro i visitatori. Ma allo stesso tempo, un turismo insufficiente o mal organizzato impedisce agli operatori di crescere e prosperare, e lascia i territori senza risorse da reinvestire. È un equilibrio delicato, ma proprio per questo ancora più prezioso.
Per capire meglio, basta guardare a esempi concreti. Nei borghi delle nostre aree interne, dove spesso i flussi turistici sono limitati, gli operatori faticano a tenere in piedi attività se non per brevi stagionalità. In questi casi sono gli stessi residenti a invocare più attenzione, perché un turismo ben gestito può significare nuovi servizi, lavoro per i giovani e persino la possibilità di mantenere aperti negozi e scuole. All’opposto, nelle città d’arte come Firenze o Venezia, l’arrivo massiccio di visitatori ha creato squilibri che toccano in prima persona gli abitanti, tanto da trasformare la ricchezza culturale in un problema quotidiano.
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Il punto, però, è che non bisogna cadere nella trappola di pensare al turismo come a una bilancia che oscilla solo da un lato o dall’altro. L’unica strada davvero efficace è quella della condivisione. Invece di immaginare due pubblici separati – da una parte chi lavora nell’accoglienza e dall’altra chi vive nei territori – dovremmo iniziare a ragionare in termini di comunità. Una destinazione funziona solo quando entrambi i gruppi sentono di avere un ruolo, di guadagnarci qualcosa, di far parte di un progetto comune.
Come si fa a tradurre questo principio in pratica? Un elemento chiave è la trasparenza. I cittadini hanno il diritto di sapere quante risorse arrivano dal turismo e come vengono spese. Non solo numeri aridi, ma racconti concreti: tasse di soggiorno che finanziano la manutenzione delle strade (non sono sicuro che sia una spesa tecnicamente ammissibile, è solo un esempio), introiti che permettono di prendersi cura di un parco cittadino o di ampliare il calendario degli eventi culturali possibilmente in tutto l’anno. È questo che aiuta a far percepire il turismo non come un costo, ma come una risorsa che torna a beneficio di tutti.
Poi c’è la questione del coinvolgimento. Non basta informare i residenti, occorre ascoltarli. In diversi territori si stanno sperimentando laboratori di comunità dove cittadini e operatori progettano insieme nuove forme di accoglienza, condividendo obiettivi e limiti. È da qui che nascono idee come i percorsi alternativi per decongestionare i centri storici, o iniziative di “turismo di comunità” in cui gli abitanti diventano protagonisti: cucinare con le famiglie, raccontare leggende locali, aprire le porte delle proprie botteghe. Sono esperienze che piacciono ai visitatori e, allo stesso tempo, rafforzano l’identità e l’orgoglio di chi vive sul posto.
C’è poi un altro aspetto che spesso non viene sottolineato abbastanza, ossia i benefici diretti esclusivi per i residenti che una amministrazione locale può decidere con estrema concretezza: agevolazioni per i residenti sui trasporti pubblici, ingressi ridotti a musei e teatri, carte dedicate con sconti e servizi. Alcune regioni hanno già avviato sperimentazioni di questo tipo, e il risultato è chiaro: quando la comunità percepisce che il turismo restituisce qualcosa, cresce il senso di appartenenza e si riducono le tensioni (in particolare quelle abitative).
Infine, il racconto. Oggi più che mai il turismo è fatto di narrazioni, e quelle più autentiche arrivano proprio dalle persone che abitano i luoghi. Dare spazio ai residenti nella promozione ufficiale, invitandoli a condividere foto, storie e ricordi, significa non solo costruire un’immagine più genuina, ma anche rendere la comunità parte della comunicazione. In Puglia, ad esempio, alcune campagne social hanno funzionato tantissimo in particolare nel periodo di recupero dalla pandemia da Covid-19, proprio perché hanno saputo dare voce a chi vive il territorio tutti i giorni, non solo a chi lo visita per un weekend (profili social “weareinPuglia”).
Il turismo è un progetto collettivo, che deve essere costruito con equilibrio, ascolto e trasparenza. Non è mai una predazione di risorse a discapito di qualcuno, ma una fonte di arricchimento umano e culturale non solo per i visitatori.
Forse la vera sfida delle prossime stagioni elettorali non sarà promettere più turisti o meno turisti, ma spiegare come trasformare i flussi in un valore condiviso, capace di generare benessere sia per chi accoglie sia per chi vive.
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MARKETING TERRITORIALE
Rubrica a cura di Marco Cocciarini
Laureato in Economia del Turismo, è consulente di sviluppo innovativo strategico e tecnologico per il destination management turistico in particolare su progetti di cooperazione internazionale e locale. È stato business developer di alcune delle più celebri startup italiane in ambito turistico ed è attualmente responsabile territoriale della loro associazione nazionale.