Customer journey: è sufficiente fare tutto solo in modo digitale?

Pubblicato in Attualità, News

20 Giu 22 Customer journey: è sufficiente fare tutto solo in modo digitale?

Scrivo affetto dal Covid e lo stare in casa in questa stagione è proprio difficile. Il bel tempo e le temperature gradevoli invitano a viaggiare, scoprire, dedicarsi del tempo e dedicarlo agli altri. Dopo due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, se analizziamo i flussi nelle grandi città d’arte, nelle località balneari, sembra che sia tornato tutto come prima. Questa esperienza collettiva però ci ha cambiato, lo sappiamo, ma ha contribuito anche a consolidare trend prima solo accennati o poco studiati. Uno di questi è conosciuto come “neverending tourism” cioè la tendenza a prolungare l’esperienza di viaggio ben oltre il periodo di soggiorno (sia prima che dopo) ed anche aumentando la percezione sensoriale della realtà proprio durante la fruizione dello stesso. Il tutto grazie alle tecnologie digitali e l’interazione tra reale e web.

Il percorso che ognuno di noi fa viaggiando, anche se non completamente in modo consapevole, è definito “customer journey” ed è tradizionalmente, per gli esperti di marketing turistico, suddiviso in 5 fasi: ispirazione, pianificazione, prenotazione, “godimento” (la migliore traduzione di enjoyment che ho trovato) e condivisione. Agli albori del fenomeno turistico l’ispirazione si traeva da “Viaggio in Italia” di Goethe così come la pianificazione, mentre per la prenotazione ci si arrangiava all’arrivo a destinazione e la condivisione avveniva nei salotti dell’aristocrazia. Poi dal dopoguerra (un altro “Viaggio in Italia” stavolta di Piovene) le prime tre fasi sono diventate appannaggio del turismo organizzato (ad esempio Alpitour viene fondata nel 1947) trasformando il settore da artigianale ad industriale. Infine, la rivoluzione digitale ha nuovamente cambiato l’approccio fornendo al viaggiatore tutti gli strumenti per tutte le 5 fasi e concedendogli la capacità (illusoria a volte mancando la competenza) di fare tutto da sé.

Ed è così che la journey del turista moderno, digitale fino al midollo perché dotato di smartphone, tablet, laptop e smartwatch, si è completamente trasformata. Per la fase di ispirazione non c’è che l’imbarazzo della scelta: milioni di foto, centinaia di migliaia di video, infinite recensioni, suggerimenti, blog a tema, articoli, post sui social. Il problema è diventato orientarsi di fronte a tutti questi stimoli. Ed è qui che interviene l’ente pubblico che crea, cataloga e promuove su molteplici canali alcune visioni a scopo di ispirazione del proprio territorio. Chi lo fa meglio non vince di sicuro, ma è a buon punto nell’arena competitiva delle destinazioni turistiche (il cosiddetto “posizionamento competitivo”). Bisogna “cacciare” il turista (in senso venatorio non letterale), andando a presentare i propri contenuti non una sola volta (ad una fiera di settore ad esempio) ma decine di volte e sulle molteplici piattaforme che lo stesso usa per informarsi, certamente, ma anche lavorare, giocare, comunicare, rilassarsi. Stai cercando in Google una nuova vasca da bagno? Che te ne fai! Usa quei soldi per andare in un mare cristallino dove la sensazione di benessere che stai cercando sarà moltiplicata all’ennesima potenza! Gli algoritmi dei motori di ricerca e dei social network fanno questo: sono petulanti nel proporti una destinazione od un servizio turistico convincendoti che non stavi cercando la vasca da bagno ma, dentro di te, la vera esigenza è quella di andare in vacanza. Lo definirei “algoritmo psicologo”…

Passato questo primo scoglio è il momento, per il turista, di mettere in pratica tutte le arti ed accortezze che ha imparato in anni di scrolling compulsivo per vincere il premio come miglior “cercatore di superofferte” del web. Questo ambito premio, un tempo schifato da chi se lo poteva permettere e pratica obbligata invece per chi non poteva, è diventato uno sport internazionale con ben più appassionati del calcio stesso. Recensioni, blog, siti di destinazione (più o meno ufficiali) fino al deep web (termine qui usato in modo improprio ma con intento rafforzativo del concetto). Qualsiasi cosa pur di dimostrare a noi stessi, ed agli altri, di aver fatto la scelta migliore nella pianificazione del nostro viaggio giungendo alla prenotazione (terza fase della journey) con certezze granitiche e carte di credito roventi. Come avrete notato fin qui tutta l’esperienza preparatoria al viaggio vero è proprio si è svolta sul web. Interamente. Ed il fatto che Booking.com fatturi quanto il PIL del Principato di Monaco ed Airbnb quanto quello delle Maldive la dice lunga su dove si crea valore aggiunto nel mondo del turismo sul web. La fase di “booking” della journey è infatti, ormai da anni, appannaggio dei grandi portali di intermediazione che raggruppano, catalogano, confrontano i servizi turistici “facilitando” la prenotazione degli stessi da parte dei clienti. Grandi gruppi che fanno solo marketing, quasi totalmente online, ed agiscono pilotando/suggerendo soluzioni per/agli aspiranti viaggiatori.

Anche la fase di soggiorno è completamente immersa nelle tecnologie digitali: realtà aumentata, QR code, notifiche push dalle App. Non si incontra più nessuno di reale nemmeno nel fare check-in nella struttura ricettiva tantomeno per imbarcarsi su un volo. Viviamo immersi tra reale e virtuale, questo approccio ottimizza sicuramente i costi abbattendo spesso quelli del personale ma siamo soli. Negli approcci precedenti, in ordine temporale, della journey il rapporto con le persone (residenti, agenti di viaggio, addetti agli uffici informazione turistica) era fondamentale. Lo è anche ora, lo vediamo dalla proliferazione di proposte turistiche esperienziali che si basano sul rapporto con i “locals”, ad esempio, ma avendo molto meno tempo degli aristocratici di fine ‘700 puntiamo sul dedicare tempo ed energie ai soli rapporti più significativi. La tecnologia ci ha portato a pensare che alcuni bei video ed un po’ di recensioni di qualche influencer bastino a creare una destinazione vincente. Ci ha portato a pensare che una struttura ricettiva vale l’altra, se sono tutte incasellate allo stesso modo significa che hanno tutte la stessa importanza cioè nessuna importanza. Quel che importa è quanto costa (a parità di servizi e location ovviamente). Ci ha portato a pensare che non mi serve nessuno che mi accolga e mi spieghi dove sono e come si usa lo scaldabagno tanto tutte quelle informazioni le posso trovare scritte su uno smartphone.

Ma allora perché sentiamo il bisogno di condividere le nostre esperienze di viaggio al termine della journey (sempre tramite strumenti digitali ovviamente, solitamente social network e sistemi di messaggistica istantanea)? Se non troviamo nessuno lungo il nostro percorso, perché ci illudiamo che qualcuno sia interessato a mettere like (o cuoricini) sulle nostre foto e stelline sulle nostre recensioni? A mio parere, da persona nata a cavallo tra Gen X e Millennial, le persone hanno ancora un valore, infinitamente importante per giungere ad una completa fruizione della destinazione turistica. Però costano.

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MARKETING TERRITORIALE
Rubrica a cura di Marco Cocciarini

Laureato in Economia del Turismo, è consulente di sviluppo innovativo strategico e tecnologico per il destination management turistico in particolare su progetti di cooperazione internazionale e locale. È stato business developer di alcune delle più celebri startup italiane in ambito turistico ed è attualmente responsabile territoriale della loro associazione nazionale.

 

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