16 Giu 25 Destinazione turistica: l’esperienza di successo delle escape room nei musei
Sin da piccolo ho girato per musei ed ho vissuto quelle lunghe ore con curiosità nei primi momenti e poi a seguire solo noia, tanta noia. Un luogo silenzioso dove si passeggia osservando teche e leggendo targhette è la definizione di noia. Negli ultimi anni, trovandomi a portare le mie figlie in quegli stessi musei, anche quelli piccoli siti in località meno conosciute, ho scoperto una vocazione narrativa che non mi aspettavo. Questa vocazione sta emergendo in modo decisamente originale: trasformandosi in spazi da esplorare, indagare e – letteralmente – da cui scappare. L’idea è quella di prendere in prestito il linguaggio del gioco (la celeberrima “gamification”), e più precisamente delle escape room, per raccontare la storia, l’arte e la cultura locale in modo finalmente coinvolgente e dinamico. E quando questo modello si unisce alla realtà virtuale, ecco che si apre un mondo di possibilità per rilanciare l’offerta culturale e turistica dei territori.
Il concetto è semplice ma potente: si entra in uno spazio virtuale o reale, si riceve una missione – trovare un oggetto perduto, risolvere un mistero, decifrare un enigma storico – e si inizia a esplorare, raccogliere indizi, interagire con ambienti e personaggi. Tutto, ovviamente, è ispirato al patrimonio del museo ed alla sua identità. Quello che prima poteva sembrare un contenuto “difficile” – una pergamena medievale, un affresco, una scultura romana – diventa parte attiva di una narrazione che stimola la curiosità, la logica e attiva anche un una bella dose di adrenalina.
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In Italia, diverse realtà stanno già sperimentando con successo questo approccio. A Milano, il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci ha lanciato “Il planetario perduto” (https://www.museoscienza.org/it/planetario-perduto), avventura in realtà aumentata dove i visitatori sono guidati da un’intelligenza artificiale attraverso una serie di sfide che li portano a scoprire installazioni legate alla corsa allo spazio. È un gioco, sì, ma è anche un modo per imparare divertendosi, per vedere il museo con occhi nuovi.
A Brescia, il Museo di Santa Giulia propone l’esperienza “Ora et labora” (https://www.bresciamusei.com/ora-et-labora-lescape-room-della-fondazione-brescia-musei-apre-anche-ai-teenager/), ambientata nell’antico oratorio di Santa Maria in Solario. Qui si gioca in presenza, tra oggetti storici e ambientazioni suggestive, cercando di risolvere enigmi legati alla vita monastica e all’arte medievale. Il tutto pensato per diversi target: adulti, teenager, in modo che ognuno venga coinvolto col suo proprio linguaggio.
Anche all’estero questo modello funziona benissimo, a Thuir, nell’estremo sud della Francia, c’è un museo che oltre all’escape room in realtà aumentata con un tablet in dotazione offre anche un “murder party” per gruppi (https://tourismeaffaires.caves-byrrh.fr/homepage/?lang=en). Questo approccio di uso alternativo degli spazi museali oltre a rendere più agevole l’acquisizione dei contenuti, consente di ottimizzarne l’uso anche in stagioni meno frequentate.
Proprio nei borghi italiani, dove il turismo è spesso stagionale o legato ad eventi, c’è un’enorme occasione di sviluppo: creare esperienze capaci di attrarre nuovi pubblici, in modo continuativo, valorizzando la propria identità culturale. La realtà virtuale, in questo senso, può essere un alleato prezioso. Non richiede strutture imponenti, permette di ricreare ambienti storici ormai scomparsi e rende accessibili contenuti anche a distanza.
Immaginiamo un museo di provincia con pochi spazi, magari ospitato in un ex convento o in una vecchia sede municipale. L’allestimento classico, fatto di pannelli e teche. E poi immaginiamo un gioco in realtà virtuale in cui il visitatore si ritrova nel ‘600, a dover decifrare un messaggio nascosto tra i dipinti della sala consiliare? O se si creasse un mistero ambientato nel periodo della Resistenza, in cui oggetti d’archivio e testimonianze locali diventano parte di un’indagine da risolvere?
La tecnologia da sola non basta. Un’esperienza di questo tipo funziona solo se è integrata in una visione culturale chiara. Serve progettazione, collaborazione tra tecnici, storici, educatori e grafici. Serve coinvolgere la comunità locale, magari partendo dai racconti delle persone anziane, dagli archivi, dalle tradizioni orali. E serve, soprattutto, considerare queste esperienze non come un gadget una tantum, ma come parte di una strategia più ampia di promozione del territorio e gestione intelligente dei flussi turistici.
In un’Italia ricca di storia, ma soprattutto di storie, sono spesso poche le risorse per raccontarle. L’alleanza tra gioco, tecnologia e cultura può fare davvero la differenza. Non si tratta di sostituire la bellezza di una visita reale, fatta di passi lenti e silenzi rispettosi. Ma di affiancarla con nuove modalità di esplorazione, più vicine al linguaggio delle nuove generazioni e più adatte a un mondo in cui la cultura, per essere davvero viva, deve anche essere un po’ giocata.
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MARKETING TERRITORIALE
Rubrica a cura di Marco Cocciarini
Laureato in Economia del Turismo, è consulente di sviluppo innovativo strategico e tecnologico per il destination management turistico in particolare su progetti di cooperazione internazionale e locale. È stato business developer di alcune delle più celebri startup italiane in ambito turistico ed è attualmente responsabile territoriale della loro associazione nazionale.