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14 Dic 25 INTERVISTE DAI COMUNI: Vanessa Morandi, assessore Cultura, Turismo, Politiche Giovanili e Gentilezza di San Benedetto Po
San Benedetto Po è uno dei borghi più belli d’Italia. Qual è l’atmosfera, la suggestione che colpisce un viaggiatore che arriva nel vostro territorio?
Di solito, quando riceviamo i feedback dei visitatori, la prima emozione che ci raccontano è la meraviglia. Anche chi arriva per caso, magari solo di passaggio, quando entra nelle nostre piazze rimane sempre sorpreso dalla loro ampiezza e dal senso di respiro che trasmettono. Allo stesso tempo, però, sono spazi raccolti dalle architetture dell’antico monastero, che li delimitano e li “abbracciano”. Le strutture monastiche, in parte oggi destinate anche a funzioni civili, mantengono comunque questa forma accogliente, ordinata, confortevole.
L’accoglienza, infatti, per noi è fondamentale. Il nostro sindaco dice sempre che è nel nostro DNA. La nostra storia monastica, infatti, essendo un monastero benedettino che per secoli ha aperto le porte a pellegrini, viandanti, studiosi, papi, principi, artisti e artigiani, ha formato profondamente la nostra comunità. Era un luogo in cui si arrivava da tutta Europa per pregare ma anche per imparare, e qui si chiedeva ospitalità: il monastero garantiva vitto e alloggio gratuito per tre giorni, secondo la regola di san Benedetto. Per secoli questo ha dato forma allo spirito del territorio.
Anche se i monaci non ci sono più dal 1797, quando Napoleone soppresse il monastero, l’eredità di quelle famiglie e di quella cultura è rimasta. È un’atmosfera che si percepisce ancora: una spiritualità che continua a vivere nelle famiglie contadine della Bassa Padana, abituate a condividere, sostenersi e mantenere un rapporto viscerale con la terra, l’acqua e l’ambiente. Chi arriva, spesso, ha la sensazione di entrare in un tempo sospeso. E, sì, anche perché per buona parte dell’anno qui c’è la nebbia… ma quando si alza, si svela il territorio, il fiume, e arrivano anche gli odori della nostra cucina e della nostra gastronomia. Tutti ci dicono: “Non ce l’aspettavamo”.
Quali sono, assessore, le tre cose che consiglia di fare a chi visita San Benedetto Po?
La prima, senza dubbio, è la visita al nostro complesso monastico del Polirone. È un’abbazia con oltre mille anni di storia: nasce nel 1007 per volontà della famiglia Canossa come monastero di famiglia e centro di controllo del territorio. Matilde di Canossa, che ne fece il suo monastero prediletto, chiese di essere sepolta qui. Nei secoli, grazie anche ai Gonzaga, il monastero ha accolto grandi artisti e ha raggiunto un’enorme importanza europea. Perfino Martin Lutero, nel Cinquecento, venne a visitarlo: rimase colpito – e criticò – la magnificenza del luogo. I monaci benedettini volevano che la bellezza architettonica e artistica richiamasse la bellezza del creato.
Oggi si possono visitare chiostri, giardini, gli “orti dei semplici”, lo scalone principesco del Barberini (si narra che i Gonzaga lo salissero a cavallo), il refettorio monumentale con L’Ultima Cena di Girolamo Bonsignori incastonata in un affresco del Correggio, la basilica ristrutturata da Giulio Romano con le sue grottesche, la biblioteca monastica del Settecento con l’affresco Le Scienze, lo scriptorium, la sagrestia decorata da Giulio Romano, la sala capitolare quattrocentesca, il chiostro di San Simeone e l’oratorio di Santa Maria del XII secolo. Un insieme di epoche e spazi così ricco che spesso le parole non bastano a restituirne la magnificenza.
La seconda esperienza è vivere il territorio lentamente: a piedi o in bicicletta. Percorrere gli argini del Po e i sentieri lungo i canali di bonifica permette di entrare nei ritmi autentici della campagna mantovana. Si pedala nel silenzio, tra vento, uccelli, acqua, sole filtrato tra le foglie. Negli ultimi anni la nebbia è meno frequente e le giornate soleggiate regalano paesaggi splendidi. Il territorio è ricchissimo di avifauna, dai gabbiani agli aironi cenerini, fino alle cicogne. Inoltre passano da qui molti cammini e ciclovie: la Via Matildica del Volto Santo, la Via Romea Germanica Imperiale, la Via Carolingia, la Ciclovia del Sole, la Ciclovia VenTo. Siamo sempre stati un luogo strategico e oggi questa rete rende il territorio vivo, esperienziale e sostenibile.
La terza esperienza è assaggiare la nostra cucina, un vero patrimonio culturale. La nostra terra è fertilissima grazie al lavoro di bonifica dei monaci: un tempo era palude, oggi è considerata parte della Food Valley. Qui inizia l’area del Parmigiano Reggiano; poi ci sono Lambrusco, tortelli di zucca con ragù o salsiccia, i salumi… La nostra è una gastronomia ricchissima e identitaria.
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Il Museo Civico Polironiano, con oltre 13mila oggetti, è uno dei maggiori musei etnografici d’Italia. Come Amministrazione, quali progettualità state sviluppando per la sua valorizzazione culturale e turistica nel breve e medio/termine?
Il nostro museo, dedicato alla civiltà contadina, è ospitato negli antichi dormitori monastici: un contenitore speciale per contenuti speciali. Stiamo lavorando molto sulla valorizzazione, integrando i linguaggi contemporanei. L’ultima novità è l’introduzione dei visori 3D che non sostituiscono la visita fisica, ma permettono di conservare e far vivere parti del monastero non più esistenti, gli antichi mestieri quasi scomparsi e scene di vita quotidiana, sia monastica che contadina. Abbiamo aderito alla piattaforma ArtCentrica, che consente di integrare contenuti digitali interattivi, mappe tematiche e percorsi multimediali con la nostra didattica museale. È stato possibile grazie al bando “InnovaCultura” di Fondazione Cariplo e Regione Lombardia. Per noi questa è la nuova narrazione del patrimonio: coinvolgente, accessibile e vicina ai linguaggi delle nuove generazioni.

Rivolgiamo l’attenzione ai giovanissimi. C’è un progetto culturale che state portando avanti per le generazioni future?
Da anni abbiamo introdotto una didattica speciale che è parte integrante del Piano del Diritto allo Studio. I nostri operatori accompagnano gli studenti, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, alla scoperta del monastero e della civiltà contadina, con percorsi verticali modulati per età. Dopo il calo post-Covid che abbiamo subìto tutti, le visite da parte di scuole dei territori e delle province limitrofe oggi sono tornate a crescere fortemente: lo scorso luglio, solo con i Grest estivi, sono arrivati 750 ragazzi. Gli spazi – chiostri, piazze, giardini – offrono sicurezza, ampiezza, servizi e punti di ristoro, e questo ci viene riconosciuto molto anche dagli stessi insegnanti e ci fa immensamente piacere.



Ci sono in programma eventi a San Benedetto Po per le festività natalizie e appuntamenti da mettere in agenda per il 2026?
Il calendario degli eventi a San Benedetto Po è sempre ricchissimo. Da metà dicembre avremo l’evento conclusivo del progetto Bibliozone – Spazio alle idee, in cui i giovani hanno co-progettato le attività: corsi di scacchi, gaming, modellazione 3D, laboratori creativi e molto altro.
Tra fine aprile e maggio, torna uno degli eventi più attesi: Lambrusco a Palazzo, con degustazioni di circa ottanta cantine, workshop ed eventi nei chiostri. Molto partecipata è anche la versione autunnale dedicata alle birre artigianali. C’è poi La Fiuma, la rassegna di Teatro di Figura Popolare, che valorizza la nostra collezione museale dedicata ai burattini e alle marionette, con spettacoli e artisti anche internazionali. Sta crescendo molto e riscuote sempre più successo in contemporanea alla più antica Sagra del Nèdar legata all’enogastronomia, ogni primo weekend di ottobre.
Un altro grande appuntamento annuale è la giornata di Halloween con escape room, spettacoli, percorsi tematici, flash mob e una straordinaria partecipazione della comunità e dei giovani volontari. L’obiettivo è proprio renderli cittadini attivi e futuri custodi del patrimonio.
Infine, nel refettorio monastico ospitiamo ogni anno mostre di artisti anche internazionali: siamo già prenotati fino al 2027.
Qual è l’aspetto di San Benedetto Po a cui lei, assessore, è particolarmente legata o tiene di più?
Sono profondamente legata alla capacità di questo territorio di tenere insieme memoria e futuro. Abbiamo un cuore antico che continua a pulsare e non è solo il monastero come complesso monumentale: sono le nostre radici, da cui nasce la nostra identità, il nostro senso di comunità, il nostro modo di accogliere. Uno degli spazi che porto più nel cuore è il chiostro di San Simeone, il santo che riposa nella nostra basilica e che, in qualche modo, ci ha dato la possibilità di diventare un luogo spirituale e punto di riferimento a livello religioso.
E poi c’è Matilde di Canossa: una donna implacabile, colta e coraggiosa. Una figura che ha rappresentato un modello straordinario in un’epoca in cui le donne, di fatto, non erano considerate. La sua diplomazia, la sua spiritualità e la capacità di leggere il suo tempo sono qualità che ho respirato fin da piccola, e per me è un esempio potentissimo. Ci ricorda che, anche quando le condizioni sembrano dire “non è possibile”, si può sempre provare a tracciare una strada diversa. Forse è proprio questa la storia di San Benedetto Po: un luogo che ha sempre saputo rigenerarsi, rialzarsi e immaginare di nuovo il futuro, nonostante le avversità.
Quando sento il bisogno di “avere memoria” di questa forza, prendo la bici e percorro quella navata di alberi che si chiude sopra la mia testa come una cattedrale naturale. E vado ad ascoltare il fiume che mi calma, mi ricarica e mi ricorda, con la saggezza di questa terra, quanto tutto vada apprezzato ogni giorno, perché come si dice da noi il fiume è una metafora della vita: “al Po al dà e al tös” (“il fiume dà e il fiume prende”), quindi diamo la giusta importanza alle cose e avanti tutta!
Vengono organizzati inoltre laboratori storici e didattici al Museo Archeologico in cui si sperimenta direttamente la storia: un’esperienza educativa che rafforza le radici culturali e il senso di appartenenza dei più giovani. Il coinvolgimento è totale: partecipano tutte le scuole, le associazioni culturali e anche i nostri anziani, che sono la vera memoria storica del territorio. Io sono convinta che un’amministrazione, quando si prende cura dei malati, degli anziani e dei bambini, abbia già assolto buona parte del proprio compito, perché significa essere al servizio della cittadinanza. In particolare oggi i ragazzi sono fragili, vivono momenti di incertezza, spesso di tristezza, e hanno bisogno di essere sostenuti e accompagnati, perché da loro passa davvero il futuro della comunità.
Intervista a cura di Sara Stangoni