Nomadi digitali: che tipo di risorsa sono per il turismo locale?

Pubblicato in Attualità, News

01 Lug 22 Nomadi digitali: che tipo di risorsa sono per il turismo locale?

Lavorare da remoto è diventata, per molti, una consuetudine. Da remoto, fino al 2019, ci lavoravano solo alcuni “nerd” dell’informatica o della finanza, poi la pandemia da Covid-19 ha portato in “smart working” anche gli uscieri degli uffici pubblici.

Nel turismo lavorare da remoto è già una consuetudine consolidata: grazie al self check-in e check-out, ad esempio, un’attività imprenditoriale come l’“host” può essere svolta senza mettere piede nè incontrare gli ospiti di persona, con buona pace di coloro che nella sharing economy ci vedono un rafforzamento dei rapporti interpersonali. Più difficile fare cambiare le lenzuola da remoto, ma a breve arriveranno soluzioni anche per quello, immagino.

Molto più interessante da trattare, soprattutto in termini di indotto economico per le destinazioni turistiche, è il target di mercato dei cosiddetti “nomadi digitali” cioè coloro che, potendo lavorare da remoto, scelgono di farlo altrove rispetto a casa propria. Lo sviluppo di questo segmento di mercato sta muovendo molto più interesse degli effettivi numeri generati ma la prospettiva, soprattutto in termini di allungamento della stagionalità e di aumento della spesa sul territorio, è decisamente significativa.

Cerco di calarmi, per un momento, nel target (in termine tecnico immaginiamo una figura di “buyer persona”) di riferimento: ho passato i 40 anni, lavoro per il 90% da remoto (per il resto faccio qualche riunione in presenza), mi piace viaggiare in libertà (sono la seconda generazione di camperisti). Il mio sarebbe il profilo ideale se non fosse che ho due bambine in età scolare. Quindi mi correggo, sono un lavoratore prevalentemente da remoto ma non sono adatto a fare il nomade digitale. Come me tantissimi: chi ha figli a scuola, chi genitori anziani, chi affetti che devono lavorare in presenza.

La prima riflessione da fare, quindi, è che lavorare da remoto è per tanti, ma a farlo sono in pochi anche se in tanti vorremmo approfittare di poter lavorare con questa formula per coniugare la passione per il viaggio con le esigenze professionali. E questo mi fa tornare al 2005 quando ho partecipato al primo convegno sugli alberghi diffusi in Italia, in Molise per la precisione. Già al tempo uno dei target per quel tipo di ospitalità era descritto come: “soggetto libero da impegni famigliari o professionali che necessitano la presenza presso uno specifico luogo fisico […] l’albergo diffuso consente una ospitalità familiare, intimistica con la destinazione, tale da far sentire l’ospite a casa propria consentendogli quindi anche di lavorare da remoto”. L’aspirazione, come in molti casi nella vita, non sempre può corrispondere alla realtà ma per avere qualche chance in più le destinazioni turistiche che intendono approcciare a questo mercato devono prepararsi a fornire servizi molto più specifici rispetto ad una buona connessione wifi e locali per uscire.

Se ci fermiamo infatti al target principale, in media 35 anni per gli europei e sui 40 per gli italiani, in compagnia del partner o da soli o al massimo con amici (anch’essi nomadi digitali), troviamo una platea ristretta nel numero ma con esigenze molto definite che non corrispondono alle descrizioni dei nostri borghi italici: locali/movida, possibilità di fare attività sportive con infrastrutture ben organizzate, condivisione/rete professionale per incrementare il proprio bagaglio di esperienze. Questo anche se la ricerca Airbnb sembrerebbe premiare i piccoli centri con un’elevata preferenza potenziale che poi però raramente si traduce, per scarsità di servizi, in effettive scelte d’acquisto. Questo per difficoltà di accessibilità, ma soprattutto perché il tessuto sociale dei piccoli centri, troppo spesso, è composto da anziani o soggetti poco inclini alla condivisione anche se accoglienti e volenterosi.

In buona sostanza, per attrarre nomadi digitali, c’è bisogno di coinvolgere i loro coetanei ed offrire servizi pensati appositamente per loro. Ne vale la pena?

Sempre dalla stessa ricerca di Airbnb infatti troviamo che la maggior parte di essi possano spendere meno di 1000 euro al mese per tutte le spese che riguardano la vita quotidiana, quindi questo possiamo considerarlo l’importo di valore aggiunto sul territorio che ogni nomade digitale può lasciare alla destinazione.

A mio parere non è sufficiente pensare al nomade digitale come un portafoglio che spende 1000 euro al mese a destinazione, quanto invece è fondamentale pensarlo, ed accoglierlo, come una ricchezza culturale, personale, emozionale per i residenti stessi. Avere qualcuno con cui condividere il pianerottolo che lavora nel marketing per un’azienda californiana o un docente inglese o un informatico australiano potrebbe farmi scaturire la voglia di fare un corso per imparare una nuova professione, di viaggiare per conoscere modi diversi di vivere o anche solo di imparare meglio l’inglese. Mantenere i contatti con quel vicino anche dopo che avrà cambiato luogo di residenza temporanea può aprirmi le porte per conoscere persone nuove che possono rivelare opportunità inattese. Pur rimanendo nel mio piccolo borgo italiano, ovviamente.

Il valore aggiunto del nomade digitale non è nel suo portafoglio (anche se l’opportunità che faccia business in Italia potrebbe essere un fattore trainante per l’economia locale) ma nella sua professionalità, empatia, competenza e voglia di condividere queste tre cose con chi lo sta, temporaneamente, ospitando.

Prepararsi ad accogliere i nomadi digitali non è solo questione di infrastrutture, trasporti, internet veloce, attività culturali e paesaggi da godere ma è soprattutto saper cogliere questa sfida a livello di cittadinanza residente.

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MARKETING TERRITORIALE
Rubrica a cura di Marco Cocciarini

Laureato in Economia del Turismo, è consulente di sviluppo innovativo strategico e tecnologico per il destination management turistico in particolare su progetti di cooperazione internazionale e locale. È stato business developer di alcune delle più celebri startup italiane in ambito turistico ed è attualmente responsabile territoriale della loro associazione nazionale.

 

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